lunedì 27 agosto 2012

LA DEPRESSIONE NEI BAMBINI

È raro sentir parlare di depressione infantile, eppure questo è un disturbo in forte crescita, interessa il 2-4% dei bambini ed è noto che tale incidenza tende ad aumentare durante l'adolescenza. 
I bambini esprimono i loro disagi, conflitti e delusioni in modo diverso dagli adulti e, diversamente da questi, che hanno la capacità di esprimere il loro disagio, i bambini non hanno ancora una buona capacità di verbalizzare e comunicare il loro malessere e la loro sofferenza, che viene pertanto espressa attraverso il loro comportamento. 
La depressione infantile è una realtà che tende a passare inosservata agli occhi del 70% dei genitori. 
Anche se alcuni bambini esprimono la loro depressione attraverso i classici sintomi (tristezza, pessimismo, ansia, ecc.), nella maggior parte dei casi, i cambiamenti più visibili tendono a confondersi con la ribellione: irritabilità, aggressività, iperattività, oppositività, ma anche con ridotto rendimento scolastico a causa dell’iperattività  e della sua incapacità a sostenere tempi attentivi  prolungati.
Il bambino depresso è spesso una piccola peste, in conflitto con i coetanei e con gli adulti; può manifestare ansia da separazione. Frequente è anche il disturbo del sonno che può manifestarsi sotto forma di incubo piuttosto che insonnia o ipersonnia, con frequenti risvegli notturni; nel bambino depresso può presentarsi anche enuresi e/o encopresi; spesso è presente la paura della morte (conversazioni ricorrenti in materia), sentimenti di colpa e di inutilità. 
E’ importante che i genitori si rendano tempestivamente conto di improvvise modifiche sul comportamento e l'umore dei bambini. 
Il ruolo dei genitori è cercare di capire e simpatizzare con le difficoltà del bambino, anche se possono sembrare insignificanti. Ad esempio, un trasloco può provocare più paura e ansia di  quanto gli adulti possano immaginare. 
Instaurare un clima di fiducia favorevole al bambino è importante  al fine di tranquillizzarlo ed esplorare le sue difficoltà. 
Se questi cambiamenti si prolungano per più di due settimane senza una causa identificabile, è importante chiedere aiuto ad uno psicologo in quanto riconoscere subito una depressione nei bambini ne favorisce la risoluzione
                                   Dott.ssa Rita Manzo

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giovedì 2 agosto 2012

STILI EDUCATIVI DEI GENITORI

DIMMI CHE GENITORE SEI E TI DIRO’ CHE FIGLIO AVRAI!
Lo stile educativo adottato dai genitori influisce sullo sviluppo dei figli. Per stile educativo si intende quell’insieme di atteggiamenti che il padre e la madre manifestano nei confronti dei figli che  creano il clima emotivo nel quale i genitori attuano i propri comportamenti specifici, volti ad ottenere determinati risultati educativi. Ogni genitore si rapporta con il proprio figlio secondo uno stile educativo preferito, nella gran parte dei casi in modo assolutamente inconsapevole e istintivo. Questo stile educativo  influisce in particolar modo sullo sviluppo di un positivo senso del sé e delle competenze personali dei figli. 
Possiamo distinguere tre diversi stili educativi:
STILE AUTORITARIO
I genitori con uno stile autoritario sono guidati principi molto rigidi, impongono le regole ai propri figli senza alcuna spiegazione, alzano spesso la voce e perdono la pazienza, non accettano di essere contraddetti, a meno di severe punizioni. 
Esercitano un eccessivo controllo sul comportamento dei figli, indipendentemente dall’età e dal contesto in cui si trovino. Si dimostrano scarsamente affettuosi con i propri figli, apparendo distanti e a volte freddi. 
Le richieste di comportamento maturo sono elevate, la comunicazione genitore–figlio è scarsa e il punto di vista del minore non viene ritenuto importante né dunque preso in considerazione. 
In un ambiente così rigido, il bambino non ha la possibilità di sperimentare né di comprendere il valore delle regole, seppur rispettate per timore di essere puniti. È probabile che sviluppi una scarsa opinione di sé e che tenda a svalutare le sue capacità, assecondando passivamente il volere e le opinioni altrui. 

STILE PERMISSIVO/LASSISTA 
I genitori permissivi esigono poco dai figli, hanno difficoltà a imporre delle regole e a farle rispettate qualora ci siano. Lasciano il bambino libero di esprimere i suoi bisogni ma anche di autoregolarsi, senza alcun limite. Non esercitano alcun controllo sulla vita dei figli, né durante l’infanzia né dopo.
Sono affettuosi, accettanti e pieni di attenzioni, estremamente tolleranti  nei confronti dei comportamenti, richieste e desideri del bambino. Il livello comunicativo è buono o molto buono. Questi genitori richiedono raramente comportamenti maturi ai propri figli, e tendono a soddisfare tutte le loro richieste.  
Questo stile educativo non produce risultati migliori rispetto al precedente. Generalmente, la mancanza di regole provoca confusione, disorientamento e angosce nei minori. Questi ultimi, in assenza di un’autorità genitoriale, non percepiscono punti di riferimento e una guida sicura, per cui potrebbero sperimentare un falso senso di onnipotenza, da cui possono derivare notevoli problemi nelle relazioni sociali e nell’inserimento in gruppi amicali, soprattutto durante l’adolescenza, in cui possono manifestarsi comportamenti di tipo antisociale.

STILE AUTOREVOLE 
I genitori autorevoli stabiliscono delle regole chiare e coerenti per i propri figli e pongono loro dei limiti laddove ce ne fosse bisogno. Ascoltano le richieste e le domande di chiarificazione dei figli, sono interessati alla loro opinione e disponibili alla negoziazione.  Spiegano il perché di eventuali divieti o proibizioni. La comunicazione tra genitore e figlio è efficace. I genitori sono affettuosi e caldi. Ai figli vengono richiesti comportamenti maturi e appropriati alla loro età. È altamente probabile che, in tale clima familiare, i minori sviluppino buoni livelli di autostima e fiducia in se stessi, autonomia, maturità e competenza affettiva e sociale. Sono rispettosi delle regole ma non le seguono passivamente, le interiorizzano e le fanno proprie. Tale stile educativo incoraggia il bambino a essere autonomo dai genitori e, soprattutto, a sviluppare la sua personalità. Questi bambini avranno minori difficoltà di relazione con i coetanei e saranno più competenti nell’esprimere e portare avanti le proprie idee. Questo è lo stile educativo più consono a una buona educazione del bambino.

I genitori spesso  non aderiscono ad un unico stile educativo e si ritrovano a variare combinando diversi atteggiamenti in base alle situazioni e circostanze. L’importante  è riuscire a mantenere una certa coerenza verso il bambino e accettare di non essere perfetti! si può sbagliare,  l’importante è ammettere l’errore con sé stessi e con i propri figli.
                                                 Dott.ssa Rita Manzo
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martedì 17 luglio 2012

Il BAMBINO IPERATTIVO


Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, o ADHD, è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo caratterizzato da una difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività. Questi problemi derivano sostanzialmente dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell'ambiente.
Tale disturbo nel 70-80% dei casi coesiste con uno o altri disturbi. Ciò aggrava la sintomatologia rendendo complessa sia la diagnosi che la terapia. Quelli più frequentemente associati sono il disturbo oppositivo-provocatorio e i disturbi della condotta, i disturbi specifici dell'apprendimento e i disturbi d'ansia. 
L’ADHD è un vero problema, per l’individuo stesso, per la famiglia e per la scuola, e spesso rappresenta un ostacolo nel conseguimento degli obiettivi personali. E’ un problema che genera sconforto e stress nei genitori e negli insegnanti i quali si trovano impreparati nella gestione del comportamento del bambino.

Criteri diagnostici per il Disturbo da Deficit di attenzione/Iperattività

La più recente descrizione dell’ADHD è contenuta nel DSM-IV secondo il quale, per poter porre diagnosi di ADHD, un bambino deve presentare almeno 6 sintomi per un minimo di sei mesi e in almeno due contesti; inoltre, è necessario che tali manifestazioni siano presenti prima dei 7 anni di età e soprattutto che compromettano il rendimento scolastico e/o sociale. Se un soggetto presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di disattenzione, viene posta diagnosi di ADHD - sottotipo disattento; se presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di iperattività-impulsività, allora viene posta diagnosi di ADHD - sottotipo iperattivo-impulsivo; infine se il soggetto presenta entrambe le problematiche, allora si pone diagnosi di ADHD - sottotipo combinato. 
A. Entrambi (1) o (2):
1) sei (o più) dei seguenti sintomi di Disattenzione che persistano per almeno 6 mesi con un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo:
Disattenzione
(a) spesso fallisce nel prestare attenzione ai dettagli o compie errori di inattenzione nei compiti a scuola, nel lavoro o in altre attività;
(b) spesso ha difficoltà nel sostenere l’attenzione nei compiti o in attività di gioco;
(c) spesso sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente;
(d) spesso non segue completamente le istruzioni e incontra difficoltà nel terminare i compiti di scuola, lavori domestici o mansioni nel lavoro (non dovute a comportamento oppositivo o a difficoltà di comprensione);
(e) spesso ha difficoltà ad organizzare compiti o attività varie;
(f) spesso evita, prova avversione o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale sostenuto (es. compiti a casa o a scuola);
(g) spesso perde materiale necessario per compiti o altre attività (es. giocattoli, compiti
assegnati, matite, libri, ecc.);
(h) spesso è facilmente distratto da stimoli esterni;
(i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane.
2) sei (o più) dei seguenti sintomi di Iperattività-Impulsività che persistono per almeno 6 mesi ad un grado che sia disadattivo e inappropriato secondo il livello di sviluppo: 
Iperattività
(a) spesso muove le mani o i piedi o si agita nella seggiola; 
(b) spesso si alza in classe o in altre situazioni dove ci si aspetta che rimanga seduto; 
(c) spesso corre in giro o si arrampica eccessivamente in situazioni in cui non 
è appropriato (in adolescenti e adulti può essere limitato ad una sensazione soggettiva di 
irrequietezza); 
(d) spesso ha difficoltà a giocare o ad impegnarsi in attività tranquille in modo quieto; 
(e) è continuamente “in marcia” o agisce come se fosse “spinto da un motorino”; 
(f) spesso parla eccessivamente; 
Impulsività
(g) spesso “spara” delle risposte prima che venga completata la domanda; 
(h) spesso ha difficoltà ad aspettare il proprio turno; 
(i) spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri (es. irrompe nei giochi o nelle conversazioni degli altri).
B. I sintomi iperattivi-impulsivi o di disattenzione che causano le difficoltà devono essere presenti prima dei 7 anni. 
C. I problemi causati dai sintomi devono manifestarsi in almeno due contesti (es. a scuola [o al lavoro] e a casa). 
D. Ci deve essere una chiara evidenza clinica di una significativa menomazione nel funzionamento sociale, scolastico o lavorativo. 
E. I sintomi non si manifestano esclusivamente nel corso di un Disturbo Generalizzato dello Sviluppo, Schizofrenia o altri Disturbi Psicotici oppure che non siano meglio giustificati da altri disturbi mentali (es. Disturbi dell’Umore, Disturbi Ansiosi, Disturbi Dissociativi o Disturbi di Personalità). 
I sintomi peggiorano tipicamente in situazioni che richiedono attenzione e sforzo mentale protratti o che mancano di attrattiva o di novità. I segni del disturbo possono essere minimi o assenti quando il soggetto è sotto controllo, ed è più probabile che si manifestino in situazioni di gruppo. L’ADHD non è un problema marginale che si risolve con l’età. Contrariamente a quanto si riteneva un tempo, infatti, la condizione può persistere in età adulta. La sua storia naturale è caratterizzata dalla persistenza fino all’adolescenza in circa due terzi dei casi e fino all’età adulta in circa un terzo o la metà dei casi. Molti di quelli che non rientrano più nella descrizione clinica dell’ADHD hanno ancora significativi problemi di adattamento nel lavoro, a scuola o in altri contesti sociali.
Le caratteristiche del disturbo variano a seconda dell’età e del livello di sviluppo e possono includere scarsa tolleranza alla frustrazione, eccessi d’ira, prepotenza, caparbietà, labilità d’umore, disforia, scarsa autostima, rifiuto da parte dei coetanei. I risultati scolastici sono spesso compromessi e i soggetti conseguono un livello di istruzione inferiore.
E’ difficile stabilire una diagnosi nei bambini con meno di 4-5 anni perché il loro comportamento è molto più variabile di quello dei bambini più grandi. Nella tarda fanciullezza o nella prima adolescenza i segni di attività motoria sono eccessivi e grossolani e i sintomi di iperattività possono essere limitati a irrequietezza, nervosismo interiore. Nell’età adulta l’irrequietezza può comportare difficoltà di partecipare ad attività sedentarie o l’evitamento di situazioni che limitino l’attività di comportamento spontaneo.
Una causa specifica dell'ADHD non è ancora nota. Ci sono tuttavia una serie di fattori che possono contribuire a far nascere o fare esacerbare l'ADHD. Tra questi ci sono fattori genetici e le condizioni sociali e fisiche del soggetto.
E’ necessario capire se il bambino abbia veramente un Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività oppure se sia semplicemente irrequieto e con la testa tra le nuvole. Nessuna persona, che non sia uno specialista (ad esempio, uno psicologo o un neuropsichiatra infantile), si deve sentire autorizzata a decidere se un bambino presenta o meno un ADHD.
                                             Dott.ssa Rita Manzo




venerdì 13 luglio 2012

15 MODI DIVERSI PER ROVINARE UN FIGLIO

Come rovinare con le proprie mani un figlio? Tutto ciò che sarebbe meglio evitare nel rapporto con i figli:
NON PARLATE MAI DI SENTIMENTI IN FAMIGLIA
né dei vostri né di quelli dei vostri figli. Non mettete mai in parola le emozioni e i sentimenti. Il riferimento alle emozioni e ai sentimenti con i bambini è una sciocchezza o una perdita di tempo. Non rispettate la vita emotiva dei vostri figli. Fate finta che il dolore non esista, che la gioia non esista, che la paura non esista, che la preoccupazione non esista, che la rabbia non esista, che la tristezza non esista e così via. Non perdete troppo tempo nel pensare e nel discutere dei problemi affettivi e relazionali in famiglia, né in particolare dei problemi affettivi e relazionali dei vostri figli.
DATE IMPORTANZA ALLE COSE SOLIDE. Considerate nei fatti che le cose più importanti nella vita in famiglia e fuori dalla famiglia sono le cose materiali. I soldi, la carriera, i vestiti, il divertimento sono le cose più importanti della vita. Raggiungere la ricchezza, il potere e l'immagine sociale sono le mete e i valori da trasmettere ai figli, soprattutto attraverso l'esempio e la testimonianza quotidiana. Siamo in un mondo in cui quello che conta non è ciò che si è, ma ciò che si ha, non è importante la vita interiore, ma la capacità di apparire, di presentarsi bene agli altri.
NON FATE ASSOLUTAMENTE MANCARE NULLA AI VOSTRI FIGLI
giochi, soldi, facilitazioni. Non chiedetegli niente in cambio. Circondate continuamente i vostri figli di attenzioni materiali. Ricordatevi che il miglior modo per farvi perdonare per le vostre carenze di comunicazione e di presenza è quello di pensare ad un bel regalo per i vostri bambini. Cercate di rendere la vita dei vostri figli il più facile possibile, dal momento che la vostra vita o la vostra infanzia in particolare sono state attraversate dalla sofferenza. Cercate di contrapporvi il meno possibile alle esigenze dei vostri figli. Meno limiti e meno frustrazioni si danno ai figli, più li si farà crescere felici e senza complessi.
CERCATE DI PROTEGGERE I VOSTRI FIGLI IL PIU' POSSIBILE DALLE DUREZZE DELL'ESISTENZA. Evitate di parlare di argomenti che potrebbero traumatizzarli o potrebbero risvegliare precocemente impulsi e tensioni. Devono essere accuratamente evitati argomenti come la morte, la malattia, l'handicap, il desiderio sessuale, la violenza, l'abuso sessuale, la separazione dei genitori, la guerra ecc. Fate di tutto perché sia rinviato il momento in cui i vostri figli dovranno confrontarsi con questi problemi. L'infanzia può e deve essere un'età felice al riparo da brutture, conflitti e problemi che i bambini possono continuare ad ignorare per anni fintanto che diventeranno più grandi e avranno la forza per parlare e comprendere questi temi.
EDUCATE I FIGLI AD ESSERE VINCENTI. Il mondo è dei vincenti. 
Premiate i successi e le iniziative che riescono. Scoraggiate nei figli la comunicazione di problemi e delle difficoltà. Gli insuccessi non devono essere ammessi in alcun modo sul piano educativo. Dare spazio alla comunicazione dei problemi e delle difficoltà da parte dei figli rischia di favorire le lamentele e i piagnistei. Ciascuno deve cavarsela da solo nell'affrontare i problemi con la forza di volontà e tirando fuori le capacità, ammesso che si abbiano. La funzione della famiglia non è certo quella di dare sostegno ai suoi componenti in difficoltà.
NON PARLATE MAI DEI VOSTRI PUNTI DEBOLI. I genitori devono essere percepiti dai figli come perfetti. I figli devono percepire che voi siete superiori, devono ammirarvi per il piedistallo su cui dovete state o comunque apparire ai loro occhi. Tanto i punti deboli si possono benissimo nascondere ai bambini! Presentatevi sempre competenti, efficienti, capaci di controllare le situazioni. Non ammettete mai errori o debolezze! Se i figli percepiscono i vostri lati più umani e fragili, possono crollare tutti gli obiettivi educativi. Se per caso sbagliate, la cosa peggiore che potete fare è scusarvi. Sono i figli che devono mettersi in discussione, non voi. Le debolezze e gli errori riguardano semmai loro, non voi.
RICORDATE CHE LE LODI SONO INUTILI E CONTROPRODUCENTI. Evitate in particolare le lodi, che vi verrebbero spontanee e che potrebbero risultare realistiche. I figli non devono abituarsi ad apprezzamenti e valorizzazioni. Se i figli assolvono bene ai loro compiti o ottengono risultati positivi, magari con impegno e fatica, questo deve essere considerato un fatto scontato, un dovere che da loro deve essere normalmente compiuto. Non devono per questo aspettarsi un riconoscimento. Rinforzare l'autostima dei figli è rischioso. Tenere bassa l'autostima è invece utile, perché li stimola a darsi da fare.
NON TEMETE DI UMILIARE I VOSTRI FIGLI. Quando ci vuole una punizione, ci vuole. Non preoccupatevi che eventualmente la punizione presenti un carattere sadico o umiliante, quel che conta è che la punizione abbia una ragione. Il fine di educare giustifica ogni mezzo, per quanto possa dare sofferenza o accompagnarsi ad un attacco umiliante all'immagine dei vostri figli. Gli schiaffoni o le punizioni corporali possono essere molto utili per insegnare ai figli che hanno sbagliato, anche se possono magari far stare molto male. Passato il vissuto di ferita o di umiliazione i figli possono facilmente tornare sul problema per il quale la punizione è stata data ed eliminare ogni sentimento di rabbia o di ribellione.
MANTENETE IL POTERE SUI VOSTRI FIGLI
Non perdetevi in mille discussioni dispersive e in dialoghi inutili con i vostri figli. Ciò che importa non è tanto chiarire in modo preciso i problemi che possono nascere, i compiti e le responsabilità che spettano ai vostri bambini e ai vostri ragazzi situazione per situazione. Non state a spiegare il vostro comportamento con infinita pazienza. Ciò che conta è trasmettere con chiarezza la differenza di ruoli tra genitori e figli, chi detiene il potere in casa vostra e chi non lo detiene, chi deve comandare e chi ubbidire, chi ha ragione per il ruolo che esercita e per l'esperienza di cui dispone e chi invece ha torto.
INSEGNATE AI VOSTRI FIGLI AD AVERE PAURA DEL MONDO. Cercate di rappresentare tutto ciò che all'esterno della famiglia come qualcosa che può rappresentare un pericolo. Una sana diffidenza aiuta a d affrontare i rischi che attendono i figli quando essi escono dall'ambiente rassicurante della famiglia. Insegnate ad avere rispetto ed obbedienza per i genitori, perché solo nei genitori potranno trovare quell'affetto, quella garanzia e quella sicurezza che altrove non possono trovare.
NON DIMENTICATE CHE I FIGLI VI APPARTENGONO. I figli sono i vostri figli. Li avete messi al mondo voi e vi devono l'aria che respirano, vi devono la loro vita, vi devono tutto. Non consentite a nessuno di intervenire nel modo con cui trattate i vostri figli, così come non permettete a nessuno di entrare a casa vostra o di prendere senza permesso la vostra roba. Come madri li avete tenuti in pancia, come padri gli avete garantito il mantenimento. Avete diritto ad aspettarvi qualcosa in cambio.
NON PREOCCUPATEVI DI COINVOLGERE I VOSTRI FIGLI NEL CONFLITTO CONIUGALE
Cercate di fare emergere il vostro punto di vista e la vostra personalità di padre o di madre senza privilegiare a tutti i costi l'unità della coppia genitoriale di fronte ai figli. Se il vostro coniuge vi attacca contrattaccate. Cercate di portare i vostri figli sulle vostre posizioni. Quel che conta è che i vostri diritti e la vostra immagine di padre o di madre non sia sminuita ed inoltre che risulti ben chiaro che la colpa è dell'altro genitore!
PRETENDETE SEMPRE IL MASSIMO DAI VOSTRI FIGLI. PUNTATE ALLA PERFEZIONE CHE E' UN IDEALE EDUCATIVO STIMOLANTE. Anche se i vostri figli non possono raggiungerla, possono comunque avvicinarsi ad essa. Cercate di essere sempre esigenti e pretendete il massimo dai vostri figli. Non fatevi deviare dai bisogni dei bambini: sempre sono usati come scuse per sottrarsi agli impegni. Non fatevi commuovere dalle lacrime e dai compromessi. Gli obiettivi da raggiungere siete voi che dovete indicarli. Non sottolineate gli aspetti positivi ma quelli negativi per stimolarli a migliorare. Non fidatevi dei bambini e sviluppate il massimo di sorveglianza sulla vita dei vostri figli. Potrebbero tradire le vostre aspettative. Non puntate sulla comunicazione, ma sul controllo.
NON PRENDETE SUL SERIO I BAMBINI. Puzzano ancora di latte e presumono di sapere come va il mondo. I bambini non vanno viziati: per lo più sono pieni di capricci che vanno contrastati. I bambini sono scarsamente credibili e vivono in un mondo di sogni. Se i bambini vengono pesi sul serio c'è il rischio che si montino la testa. Non prendete sul serio i bambini soprattutto quando riferiscono situazioni di malessere o addirittura di violenza. Lasciate cadere il discorso ed isolateli. Fateli crogiolare nel loro brodo di bugie.
NON RIFLETTETE MAI SULLA VOSTRA COERENZA. Non è così importante perseguire la coerenza negli atteggiamenti educativi. Se date una regola e il giorno dopo non la fate rispettare, se minacciate una punizione nel caso di una eventuale disobbedienza dei vostri figli e poi non la mantenete, quando quella disobbedienza s'è realizzata, se dite ai vostri figli di non dire bugie e non vi rendete conto delle vostre falsità, se enunciate un principio che voi stessi per primi calpestate, predicate bene e razzolate male, se pretendete il rispetto dei vostri figli e voi stessi poi non lo garantite, se dite ai figli di non dire parolacce quando voi bestemmiate, tutto questo non è importante. Sono i vostri figli che devono imparare la coerenza, non voi.
E voi cosa ne pensate? Lasciatemi pure un commento sotto questo post!
                                                                           Dott.ssa Rita Manzo





venerdì 22 giugno 2012

COME AIUTARE UN BAMBINO AD AFFRONTARE LA PERDITA DI UNA PERSONA CARA



La perdita di una persona cara è un evento molto doloroso e traumatico, soprattutto per i bambini. I genitori che stanno attraversando un periodo di lutto spesso sono in difficoltà quando devono spiegare ad un bambino che un loro familiare o un caro amico è venuto a mancare e spesso hanno anche la tendenza ad evitare l'argomento per proteggere i propri figli. Tuttavia, arriva un momento in cui non si può eludere questa verità. E’ importante garantire al bambino che ha perso una persona cara un costante percorso di accompagnamento e contenimento emotivo. E’ fondamentale imparare il modo giusto per aiutare il piccolo ad affrontare e superare questo triste momento. Le seguenti linee guida possono rendere questo processo più semplice.

1) Siate onesti con i bambini e incoraggiateli a porvi domande. Questo può essere difficile perché non si hanno tutte le risposte. Ma è importante per creare un’atmosfera di comfort e di apertura, e fargli capire che non c’è un unico modo di affrontare questa perdita, c’è chi piange e chi invece, soffre dentro.

2) E’ possibile spiegare che cos’è la morte ai bambini sin dai primissimi anni. E’ bene considerare l'età di un bambino e la sua capacità di capire le idee complesse. I bambini non hanno una comprensione matura della morte fino all'età di otto o nove anni. I più piccoli possono pensare che la morte è qualcosa di temporaneo, e che la persona che li ha lasciati tornerà in futuro.

3) Utilizzare termini precisi quando si parla di morte. Le persone spesso utilizzano come sinonimo di morte il termine "perdere" una persona cara. I bambini potrebbero farsi l’idea che  la persona può essere “ritrovata”. Spesso si usano  immagini fantasiose, come "il nonno ha raggiunto la nonna in cielo" o anche "è partito per un lungo viaggio"... all'inizio questa strategia può essere una soluzione, tuttavia essa ha i suoi limiti, rischiando di confondere il bambino. 
La cosa migliore è affrontare l'argomento in modo semplice ed onesto, senza paroloni. E’ inutile dire ad un bambino che la morte è temporanea e che chi è morto si assenterà per un lungo periodo. Bisogna spiegargli, semplicemente, che non ritornerà. All’inizio questo fatto potrebbe essere difficile da mandar giù, ma col tempo l’accettazione sarà meno dolorosa. Puoi ammettere, invece, al tuo bambino che non sai assolutamente che cosa succede dopo la morte. Questo dialogo gli permetterà di cominciare a riflettere. Per spiegare la morte c’è bisogno di termini semplici in quanto fino all’età di cinque - sei anni, la visione del mondo dei bambini è molto letterale. Così se colui che è morto era malato o anziano, si potrebbe spiegare, per esempio, che il corpo della persona non funzionava più e che i medici non potevano risolvere il problema. Se qualcuno muore improvvisamente, come in un incidente, si potrebbe spiegare cosa è accaduto, cioè che a causa di questo evento molto triste il corpo della persona ha smesso di funzionare. Potrebbe essere necessario spiegare che “morire” significa che il corpo ha smesso di funzionare e che non può essere “aggiustato”. L’aspetto positivo di ciò è che una persona morta non soffre più, non prova più dolore, freddo, fame… I bambini così piccoli hanno spesso difficoltà a capire che tutte le persone e gli esseri viventi alla fine muoiono e che questa situazione sia definitiva e che quindi la persona non tornerà più. Per questo il bambino avrà la tendenza a continuare a chiedere dove sta la persona amata o quando la persona ritornerà anche dopo avergli spiegato che non tornerà più. Per quanto frustrante questo sia, continuate a ribadire con calma che la persona è morta e non può ritornare.

4) Niente bugie ai bambini! è essenziale parlare subito col piccolo della perdita, senza aspettare che si stupisca di non vedere più quella la persona da un po’ di tempo. Evitare l’argomento o inventarsi storie ai confini della realtà genera solo confusione e angoscia nel bambino. I piccoli sono perfettamente in grado di capire il nostro dolore e sanno essere anche capaci di consolarci.

5) E’ necessario  spiegare al bambino che, se quella persona non è più presente fisicamente, lo sarà sempre nel suo cuore e lo accompagnerà nel corso della vita. Una fotografia appesa alla parete o un oggetto appartenente alla persona defunta possono essere utili per alleviare temporaneamente il suo dolore.

6) E’ utile far assistere il bambino al funerale. Ciò gli permetterà di capire meglio ciò che accade e trarre beneficio dal sostegno dei familiari, ma gli consentirà anche di poter piangere liberamente. Se il bambino lo desidera, può anche vedere il corpo del defunto e mettere una fotografia, un oggetto o un disegno nella bara.

7) Ricordate che i bambini non possono tollerare lunghi periodi di tristezza. Ciò significa che si può decidere di farli giocare e partecipare alle loro attività abituali. Questo non significa che essi non amano la persona che è morta, né significa che mancano di rispetto. Va bene permettere o incoraggiare i bambini a divertirsi come facevano prima della morte.

8) A volte capita che il bambino abbia dei sensi di colpa e possa sentirsi responsabile della morte di una persona cara perché convinto di non aver amato abbastanza il proprio caro in vita, oppure per avere pensato in passato cose cattive su di lui, o di avere desiderato la morte di questa persona per rabbia momentanea. In questo caso è bene spiegargli che non è colpa sua e capita a tutti di pensare cose cattive, ma che i pensieri non uccidono le persone.

9) Bisogna essere sempre presenti ed evitare di lasciare il bambino solo col suo dolore, rispettando i suoi ritmi. Alcuni bambini chiedono più coccole e attenzioni. Questo è sintomo del fatto che vivono male il decesso e hanno difficoltà ad accettare il lutto. Dite loro che li amate e, che anche se siete tristi o piangete, li amerete sempre e vi prenderete cura di loro. E’ bene uscire più spesso con loro e cercare di condividere maggiori momenti di relax e di coccole.

10) I cambiamenti nel comportamento del bambino (aggressività, isolamento sociale, disturbi del sonno, indifferenza) potrebbero essere il segnale che egli sta vivendo dei problemi connessi con la morte. In questi casi, è opportuno farsi consigliare da uno specialista. 
Dott.ssa Rita Manzo

lunedì 11 giugno 2012

BALBUZIE



La balbuzie è un disordine del ritmo della parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di involontari arresti, ripetizioni o prolungamenti di un suono. Consiste in contrazioni spastiche, a carico delle funzioni, della regolarità e del ritmo della muscolatura fonorespiratoria. Si trova nell’1% circa dei bambini, in maggioranza maschi. 
Si distingue la balbuzie tonica, con blocco ed impossibilità di emettere un suono per un certo periodo, e la balbuzie clonica, caratterizzata da una ripetizione involontaria, interrotta ed esplosiva di una sillaba, spesso la prima della frase. Questi due tipi di balbuzie spesso coesistono. 

La balbuzie spesso si accompagna a diversi movimenti motori: contrazione del viso, tic o gesti variabili più o meno stereotipi del viso, della mano, degli arti inferiori; sono spesso associate anche manifestazioni emotive (arrossamenti, disagi, sudorazione delle mani). Compare in genere tra i 3 e i 5 anni. Più tardi, nell’infanzia o nell’adolescenza, una balbuzie può sopravvenire, talvolta all’improvviso, dopo uno shock affettivo o emozionale. 
Le diverse indagini neurofisiologiche non hanno permesso di scoprire nessuna anomalia funzionale, ciò è confermato anche dalla variabilità della balbuzie da un giorno all’altro in base all’interlocutore, allo stato affettivo del soggetto stesso ed al contenuto del suo discorso. La balbuzie si accentua quando la relazione è in grado di scatenare un’emozione e si attenua o sparisce quando le emozioni sono più facilmente controllate, ad esempio quando canta, ripete un testo che conosce a memoria, parla con un animale domestico o con se stesso.
Le cause della balbuzie possono essere suddivise in tre gruppi principali:
Cause Organiciste: la normale fluenza viene ostacolata da un quadro logopatico instabile, da lesioni cerebro-corticali, da insufficienze dell'apparato fonatorio. 
Cause Psicogenetiche: la disfluenza del linguaggio ha origine intima, nervosa e il fenomeno, fortemente intermittente, aumenta sistematicamente in situazioni intensamente emotive. 
Cause Linguistiche: il normale flusso verbale viene interrotto a causa di incertezze terminologiche, sintattiche e grammaticali, costringendo il bambino a continue varianti rispetto alla elaborazione primaria del pensiero. 
E’ ampiamente dimostrata la maggior predisposizione alla balbuzie dei bambini nati in realtà familiari ove vi siano soggetti affetti da tale disturbo.
Alcuni studiosi hanno presentato lavori che dimostrano in modo attendibile un coinvolgimento del sistema nervoso centrale (snc) e hanno quindi avallato la componente neuro-fisiologica della balbuzie.
I bambini balbuzienti sono soggetti del tutto normali psichicamente, e con una grandissima sensibilità.

Se in alcuni casi la balbuzie si attenua o sparisce spontaneamente con l’età, la possibilità di una sua persistenza e l’ostacolo relazionale che essa rappresenta giustificano l’approccio terapeutico. A livello terapeutico si può fare molto per migliorare la fluenza verbale del bambino. Quanto più il trattamento della balbuzie è precoce tanto più è rapido e i risultati saranno migliori. E’ tra i 5 e i 7 anni che la terapia deve essere intrapresa, per evitare che la balbuzie diventi nel tempo troppo severa e si cronicizzi. Dopo i 10 anni e, quindi, nell’adolescenza, i trattamenti diventano difficili e i risultati relativi al sintomo, dubbi.
Trattamento balbuzie:
-Le tecniche Logopediche/Fonoiatriche cercano di agire direttamente sul sintomo migliorando e regolando: la coordinazione del sistema pneumo-fono-articolatorio , l'atto respiratorio, la ripetizione sillabica , la ritmica del linguaggio, l'articolazione dell'atto fonatorio e la coordinazione muscolare.
-Le tecniche psicologiche hanno come obiettivo il rafforzamento dell'Io e partono dalla convinzione che sia la repressione di impulsi non coscienti a generare i problemi di controllo dei logo-spasmi. Le tecniche psicologiche si propongono di far evolvere la personalità del bambino.


                                   Dott.ssa Rita Manzo

lunedì 7 maggio 2012

GENITORI E FIGLI:QUANDO IL GIOCO DIVENTA UN’ATTIVITA’ CHE DIVERTE ENTRAMBI



Il gioco è l’attività primaria dei bambini, i quali, attraverso di esso, riescono ad esprimere le proprie emozioni, ad adattarsi all’ambiente che li circonda e a sviluppare adeguate capacità di problem solving. Il gioco infantile, se utilizzato correttamente, favorisce lo sviluppo globale del bambino, contribuendo al  suo benessere cognitivo, fisico, sociale ed emotivo e alla formazione della sua coscienza morale. Attraverso il gioco i bambini imparano ad avere fiducia nelle proprie capacità individuali (fisiche e mentali),ad esplorare il mondo, a scoprire se stessi; in sostanza rappresenta il loro modo di lavorare, di apprendere, di comunicare, quindi di dominare la realtà.
Il gioco è il linguaggio attraverso cui i bambini esprimono ciò che non riescono a tradurre in parole. Per tutti questi motivi le mamme fanno molta attenzione quando comprano i giocattoli per i loro bambini assicurandosi che questi siano educativi e che siano adeguati allo sviluppo psicologico del bambino. Grazie al gioco i bambini possono esprimere con naturalezza conflitti, disagi o situazioni che gli creano ansia e dominare situazioni emotive troppo intense per la loro età. Giocare gli consente di abbandonare momentaneamente  la realtà con le sue regole per entrare in un mondo di fantasia  nel quale ogni desiderio si  può realizzare. Giocando i bambini ci rivelano  non solo come rappresentano la realtà ma anche come la percepiscono. Pertanto è  utilissimo per i genitori osservare il modo di giocare dei propri figli, al fine di ricavarne preziosi indicatori del loro sviluppo emotivo. 
I bambini piccoli adorano giocare con i loro genitori e questo loro desiderio va assecondato in quanto il gioco tra genitori e figli permette di migliorare la relazione familiare che, come sappiamo, ha un ruolo prioritario sullo sviluppo della personalità e della socializzazione dei bambini essendo un ambiente naturale d'apprendimento di concetti e d'attitudini che agiscono come rinforzo e come motivazione per il raggiungimento di nuovi obiettivi educativi. Il gioco con i genitori consente al bambino di costruire con loro legami di intimità. Giocare equivale a conoscersi e a identificarsi maggiormente nel ruolo genitoriale, conoscere e a farsi conoscere meglio dai propri figli, a dialogare e a creare legami più forti. Si può affermare che giocare è il miglior modo di educare.  L’ appuntamento col gioco cancella o rende più accettabile l'altro tipo di relazioni che i genitori hanno abitualmente con i figli: "Hai finito i compiti? Hai messo a posto i giochi? Mi fai vedere la pagella? Si va a letto dopo cena!" ecc.. E’ importante che il gioco diventi un momento di incontro tra il bambino e i suoi genitori. Ai giochi elettronici, passivizzanti e ripetitivi, sono da preferire i giochi di finzione che danno ai bambini la possibilità di esprimere le loro emozioni.

Nei primissimi anni di vita, il gioco più apprezzato ed amato dal bambino è la mamma o eccezionalmente chi si prende cura di lui. La madre è un "giocattolo universale"; per il bambino la mamma è tutto: lo ama, si prende cura di lui, gli presenta il mondo, gli dà sicurezza, gli trasmette fiducia. 
Oggi purtroppo, molto di frequente, vediamo il crearsi di una frattura nella comunicazione tra genitori e figli in quanto molti genitori a causa dei ritmi frenetici della vita lavorativa non hanno molto tempo a disposizione da dedicare ai loro figli in compenso trascorrono molto tempo fuori casa rispetto agli anni precedenti. È molto importante lasciarsi trascinare dai giochi dei bambini perché ciò consente ai genitori di stabilire un legame speciale con loro che si rivelerà molto utile per entrambi durante l’adolescenza.

                                               Dott.ssa Rita Manzo

"il bambino che non gioca non è un
bambino, ma
l'adulto che non gioca
ha perso il bambino che era in lui
e di cui avrà sempre bisogno"
P.Neruda